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L'imputabilità è uno status del soggetto, cioè una condizione personale di chi commette il reato ed è disciplinata dell'art. 85 c.p. secondo il quale "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.
È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere".
Come disposto dalla norma di riferimento, dunque, per aversi imputabilità è necessario che il soggetto sia capace di intendere e di volere.
In questa espressione rientrano le condizioni psico-fisiche di normalità che consentono di collegare la responsabilità del fatto all'autore, in corrispondenza di una previsione legale.
Occorre, però, fare delle precisazioni:
La capacità di intendere e di volere è presunta e considerata normalmente e pienamente presente nel soggetto fin dal compimento del del diciottesimo anno di età (raggiungimento legale della maturità psico-fisica), pertanto nel caso in cui questa mancasse, dovrà essere dimostrato.
La valutazione della capacità di intendere e di volere deve essere valutata in realazione al fatto concreto e nel momento in cui il fatto è stato commesso.
Non è possibile parlare di imputabilità senza parlare di colpevolezza. Questa è definita come un rimprovero posto in capo al soggetto per aver commesso un fatto ritenuto dalla legge reato.
Il principio di colpevolezza (nulla poena sine culpa) esprime la necessità di un legame soggettivo tra il fatto tipico e antigiuridico e il suo autore e presuppone un'imputazione quantomeno a titolo di colpa.
Infatti, i presupposti della colpevolezza si ravvisano in:
In assenza di imputabilità verrebbe meno uno dei presupposti della colpevolezza e, quindi, il soggetto non sarebbe punibile in quanto non avrebbe senso rimproverare giuridicamente un soggetto che non era in grado di agire diversamente e/o di comprendere il significato delle sue azioni o della punizione stessa.
Rimane sempre il problema dell'allontanamento della società della persona ritenuta socialmente pericolosa: non si può far passare l'idea che un soggetto non imputabile possa commettere un reato senza conseguenze. Pertanto, non si può prescindere dall'assoggettabilità a misure di sicurezza in caso di pericolosità sociale.
Come abbiamo avuto modo di accennare, vi possono essere dei casi in cui la capacità di intendere e di volere è assente oppure fortemente diminuita.
Queste cause possono essere dovute a condizioni di natura patologica (infermità mentali o sordomutismo), fisiologica (minore età) e tossica (ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti).
Per quanto riguarda le prime, l'art. 88 c.p. dispone che non è imputabile chi "nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere".
Occorre, quindi, dimostrare un nesso di causalità tra la patologia mentale (anche transitoria) e l'assenza di capacità di intendere e di volere al momento del compimento del fatto. Questo deve dare come risultato un vizio di mente che, in questo caso, è totale ma che può essere anche parziale ex art. 89 c.p., secondo il quale l'imputabilità è diminuita e, di conseguenza, la pena è attenuata.
L'infermità in questione dev'essere intesa non solo come malattia mentale psichiatrica in senso stretto, ma anche come deficienza psichica o psicopatia in senso generale.
Va, però, esclusa la rilevanza degli stati emotivi e passionali (art. 90 c.p.) in quanto non integrano, da soli, una situazione di infermità. Ma è anche vero che possono essere conseguenza di una patologia, pertanto andranno valutati caso per caso attraverso delle oppprtune perizie.
Il legislatore, inoltre, ha ritenuto non imputabile "il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità di intendere e di volere" (art. 96 c.p.).
Per quanto riguarda le condizioni fisiologiche (minore età) il codice detta discipline differenti per:
L’ultima condizione, riguarda l’ubriachezza e l’intossicazione da sostanze stupefacenti le quali hanno discipline analoghe tra loro. La prima esclude l’imputabilità solo se è accidentale, causata quindi da caso fortuito o forza maggiore senza colpa del soggetto (classico esempio può essere quello di un operaio che, lavorando in una distilleria, abbia inalato per troppo tempo i fumi dell’alcool).
L’imputabilità non è né esclusa né diminuita se l’ubriachezza è volontaria o colposa (art. 92, co. 1 c.p.), così come per l’uso di stupefacenti volontario o colposo (art. 93 c.p.). Pertanto si considererà responsabile a titolo di dolo o colpa chi agisce sotto l’effetto di tali sostanze.
Vi è, poi, il caso di ubriachezza abituale nel quale il soggetto è dedito al consumo di sostanze alcoliche e spesso sotto il loro effetto. In questo caso vi sarà un aumento di pena (art. 94 c.p.) nel caso di compimento di reati e la possibilità di applicazione di misure di sicurezza.
Infine, vi è il caso di cronica intossicazione da alcool o sostanze stupefacenti (art. 95 c.p.) il quale può escludere o far scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. L’esclusione o la diminuzione è dettata proprio dalla cronicità, in quanto presuppone l’impossibilità di eliminare tali sostanze dall’uso costante di un soggetto e, di conseguenza, l’impossibilità di guarigione, trovandoci quindi di fronte a una vera e propria malattia psichica che si ricollega agli artt. 88 e 89 c.p.
All’art. 87 il codice penale regola lo stato preordinato di incapacità di intendere e di volere. Questo stato viene posto in essere al solo scopo di commettere un reato o di prepararsi una scusa per averlo commesso e prevede un aumento di pena (si pensi a un soggetto che, per commettere un omicidio, fa uso di sostanze per allentare i freni inibitori).
Si parla di actiones liberae in causa per consentire l’imputazione di un fatto commesso in condizioni di incapacità di intendere e di volere arrivando a considerare come momento di colpevolezza del soggetto quello in cui ha liberamente scelto di procurarsi uno stato alterato di coscienza per commettere il reato o per procurarsi una scusa.
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