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Nel codice penale è presente l’ipotesi in cui, come conseguenza di un delitto doloso, si manifestino delle lesioni o, nel peggiore dei casi, la morte della vittima, eventi che, comunque, non sono voluti dal soggetto agente.
Andiamo ad analizzare questa fattispecie.
L’art. 586 c.p. dispone che “quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’art. 83, ma le pene stabilite negli artt. 589 e 590 sono aumentate“.
Vi sono una serie di rimandi ad altre norme, ma cerchiamo di spiegarlo in parole semplici.
L’art. 83 c.p. è la norma che regola l’evento diverso da quello voluto dall’agente (aberratio delicti) per il quale, lo stesso dovrà rispondere a titolo di colpa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Per ciò che riguarda, invece, gli artt. 589 e 590 c.p., questi prevedono, rispettivamente, l’omicidio colposo e le lesioni colpose.
Tutte queste norme, racchiuse nell’art. 586 c.p., regolano la fattispecie della morte o lesioni come conseguenza di altro delitto.
Naturalmente, affinché tale fattispecie sussista, è necessario che la punibilità derivi da una forma di responsabilità per colpa in concreto, in cui l’evento morte o lesioni deve essere preveduto dall’agente, anche in via potenziale, tenuto conto dell’entità delle sue azioni.
È necessario, dunque, che sussista un nesso di casualità non interrotto da fattori concausali sopravvenuti.
Molto spesso ci si chiede se sia possibile imputare agli spacciatori la morte o le lesioni dei consumatori di droga derivanti dall’assunzione della stessa.
Ebbene, come sopraddetto, è necessario che sussista un nesso di causalità e una consapevolezza, anche potenziale, delle conseguenze del fatto posto in essere dal soggetto agente.
Ad esempio, se lo spacciatore è al corrente di eventuali malattie del consumatore, incompatibili con l’assunzione di droga, e comunque gliela cede, potrebbe essere ritenuto responsabile delle eventuali conseguenze dannose derivanti dall’assunzione della stessa.
La Corte di Cassazione ha chiarito in più occasioni che “in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale” (Cass. sent. n. 49573/2018 – Cass. SS.UU. 22676/2009).
Inoltre, per la configurabilità del reato di cui all’art. 586 c.p., è necessario che l’evento costituito dalla morte e dalle lesioni, non sia voluto neppure in via indiretta o con dolo eventuale dall’agente, poiché questi, se pone in essere la propria condotta pur rappresentandosi la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze di essa e ciononostante accettandone il rischio, risponde, in concorso di reati, del delitto inizialmente preso di mira e del delitto realizzato come conseguenza voluta del primo (Cass. sent. n. 31841/2014).
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