Giurisdizione del giudice ordinario per la rinegoziazione senza accordo del contratto di appalto
La terza sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1937 del 25 marzo, ha statuito in materia di riparto di giurisdizione nel caso di rinegoziazione del contratto di appalto senza previo accordo tra le parti.
La controversia origina dall’impugnazione, della società affidataria del servizio di piantonamento e vigilanza dei Presidi Ospedalieri dell’A.S.L. Napoli, del contratto di appalto, relativo all’applicazione, da parte dell’A.S.L., di una riduzione dei prezzi unitari già rinegoziati, in virtù della medesima disciplina di razionalizzazione della spesa pubblica.
Ha ricordato la Sezione che l’art. 9 ter, d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125, ha previsto che l’Amministrazione propone alla controparte negoziale una rinegoziazione del contratto che, attraverso la riduzione dei prezzi unitari di fornitura o dei volumi di acquisto pattuiti in origine, realizzi l’obiettivo della riduzione del cinque per cento, su base annua, del suo valore complessivo e riconosce alle stesse parti, qualora non si trovi l’accordo sulla modifica del contratto, un reciproco diritto di recesso. Come rilevato dalla Corte costituzionale, in questo sistema la volontà dell’affidatario del contratto rimane determinante per l’esito definitivo della procedura di rinegoziazione, poiché “l’alterazione dell’originario sinallagma non viene automaticamente determinata dalla norma, ma esige un esplicito consenso di entrambe le parti. Ove tale consenso non venga raggiunto, soccorrono le ipotesi alternative del recesso, della nuova gara e della adesione transitoria a contratti più vantaggiosi” (Corte cost. n. 169 del 2017).
L’Amministrazione non dispone, dunque, di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni, controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo.
La Sezione ha altresì escluso che la la giurisdizione amministrativa sulla controversia in esame non può neppure radicarsi nell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a.
Così, ha affermato che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la seconda riduzione dell’importo contrattuale, disposta da una amministrazione in fase di rinegoziazione ex art. 9 ter, d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125, e ciò in quanto essa non dispone di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni (controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo), con la conseguenza che neppure la pretesa dell’Amministrazione di procedere ad una seconda riduzione dell’importo contrattuale può ascriversi all’esercizio di una potestà pubblica, in relazione al quale possa predicarsi un cattivo uso del potere.