La sottrazione del cellulare da parte dell’ex convivente tra “dispetto” e vero “profitto”
Cass. pen., IV, 7 maggio 2020, n. 13842
“Il fine di trarre profitto dal bene della vita illecitamente acquisito si identifica nell'intenzione di trarre dal bene una qualsiasi utilità, anche di natura esclusivamente personale e non economica. Il fine può ben consistere nell'appropriarsi per un periodo apprezzabile di tempo della cosa mobile altrui, anche se solo a scopo emulativo. La limitazione della punibilità delle condotte di volontaria sottrazione ed impossessamento di cose mobili altrui alle sole ipotesi di sottrazione dettata da finalità economiche priverebbe di tutela penale il possesso delle cose mobili in caso di lesioni dettate da motivazioni non economiche, laddove invece il possesso di tali cose, per via della sua agevole possibilità di aggressione determinata dalla natura “mobile” di tali beni, comporta la necessità di una tutela completa e non circoscritta alle sole sottrazioni dettate da fini di locupletazione. Occorre necessariamente identificare il fine di profitto con la soggettiva utilità perseguita dall’agente con l’appropriazione della cosa. Una diversa interpretazione, infatti, determinerebbe un restringimento eccessivo della tutela penale”.
(La vicenda processuale trae origine dalla denuncia presentata dalla persona offesa nei confronti dell’ex convivente, il quale, dopo la loro separazione, l’aveva convinta ad aprire la porta di casa con la scusa di dover prelevare indumenti personali, ma poi le aveva sottratto cinquanta euro, le chiavi di casa e, soprattutto, il telefono cellulare, al fine di verificare l’esistenza di una presunta relazione tra costei ed un terzo).