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Traccia 1 - Ti regalerò una rosa (anzi un catetere)
v. Lez. 4 file 5 "Come analizzare qualsiasi traccia" / Posizione di garanzia e rapporto parte generale e reati contro la persona + Ti regalerò una Rosa, lez. 5, file 1.1
In data 9 febbraio 2016 (1) il giudice tutelare di Alfa nomina Caia amministratrice di sostegno di Tizio, affetto da demenza senile tipo Alzheimer (2), con il compito di gestire il trattamento pensionistico di Tizio e di impugnare, a nome di quest'ultimo, un contratto da questi stipulato nel 2015 sotto la spinta di artifici e raggiri perpetrati da terzi (3). In data 7 maggio 2017 (4), a seguito delle segnalazioni provenienti da alcuni vicini, i vigili del fuoco accedono d'urgenza nell'appartamento di Tizio rinvenendolo in pessime condizioni igieniche, senza cibo e bevande e con rifiuti all'interno dell'abitazione (5). Tizio viene dunque ricoverato in ospedale e, a seguito della relazione pervenuta, in giudice tutelare revoca la nomina di Caia quale amministratrice di sostegno e trasmette gli atti alla locale Procura della Repubblica, ipotizzando la ricorrenza del reato di cui all'art. 591 c.p (6). Caia, preoccupata, si rivolge dunque ad un legale per un consulto. Il Candidato, assunte le vesti del legale di Caia, premessi brevi cenni sul reato di abbandono di persone incapaci, rediga motivato parere esaminando le questioni sottese al caso in esame.
Rif. normativi
591, II, c.p.
404 e ss. c.c.
357 c.c.
Artt. 1 e 3, l. 6 del 2004
Rif. Giurisprudenziali
Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2015, n. 7974 Ritenuto che l'amministratore di sostegno assiste il beneficiario, di regola, nella gestione dei suoi interessi patrimoniali, senza attendere, in linea di principio, alla "cura" della persona e della sua "incolumità", non può egli commettere il reato di cui all'art. 591 c.p., reato dalla concorde dottrina definito "proprio": l'art. 357 c.c., che attiene ai compiti ed alle attività del tutore, non è compreso tra le norme di cui all'art. 411 c.c. all'amministratore di sostegno applicabili
Svolgimento
Incipit - La fattispecie di abbandono di persone incapaci, prevista dall’art. 591 c.p., è qualificabile come delitto proprio e può essere commesso esclusivamente da un soggetto qualificato, che rivesta una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo.
D1 Tale condizione è definita obbligo o posizione di garanzia ed implica che il soggetto disponga dei poteri necessari ad impedire il realizzarsi della situazione tipica. Dall'obbligo di garanzia in senso stretto si distinguono altre posizioni di obbligo giuridico, caratterizzate dalla mancanza dei poteri impeditivi dell'evento: si tratta degli obblighi di sorveglianza e di attivazione. La fonte del dovere deve avere natura legale e vi rientrano la legge e il contratto, la negotiorum gestio e la consuetudine. L'obbligo che grava sull'agente deve essere puntuale e specifico, in quanto non possono rilevare obblighi aventi contenuto generico ed indeterminato e i poteri impeditivi devono essere sussistenti ed idonei a consentire materialmente di porre in essere l'azione doverosa. Le posizioni di garanzia possono essere di protezione o di controllo.
Le posizioni di protezione si basano su una relazione qualificata del garante con il bene giuridico o con il soggetto tutelato, indipendentemente dalla fonte di pericolo, ad esempio i genitori in relazione ai pericoli gravanti sulla prole, o il medico nei confronti del paziente. Le posizioni di controllo si basano invece sulla neutralizzazione di fonti di pericolo che possono minacciare beni di terzi: ad esempio il datore di lavoro rispetto ai rischi ai quali sono esposti i dipendenti, o il medico psichiatra rispetto al paziente che rappresenti una fonte di pericolo. Da un generico dovere di attivarsi non scaturisce invece alcuna posizione di garanzia, in quanto il soggetto dotato di meri obblighi di sorveglianza dell’altrui attività non riveste una posizione di garanzia, in quanto è privo di poteri impeditivi ed è dotato di soli oneri informativi nei confronti del garante, che resta l'unico titolare del potere decisionale.
f Nel caso in esame Caia viene nominata amministratrice di sostegno di Tizio, affetto da demenza senile tipo Alzheimer, con il compito di gestire il suo trattamento pensionistico e di impugnare, a nome di quest'ultimo, un contratto da questi stipulato. Ad oltre un anno di distanza dalla nomina, Tizio viene rinvenuto nella propria abitazione in pessime condizioni igeniche, senza cibo e bevande.
D2/F Occorre interrogarsi sulla possibile rilevanza della condotta dell'amministratrice, ai sensi dell'art.591 c.p. Tale norma disciplina la condotta di chi, venendo meno agli obblighi di garanzia discendenti dalla sua posizione, agisce nella consapevolezza di esporre a pericolo la vita o l’incolumità individuale del soggetto vulnerabile. L'abbandono è integrato da qualsiasi azione di omissione contrastante con il dovere di cura o custodia che grava sull'agente. La condotta può essere istantanea e può rilevare anche la mera omissione, purché sorretta dal dolo generico consistente nella coscienza e volontà di abbandonare. Secondo la giurisprudenza di legittimità il reato ha natura permanente e si protrae sino a quando l'agente (o il terzo) non faccia cessare la situazione di pericolo.
Nel caso concreto, Caia è stata nominata nel Febbraio del 2016 e il 7 maggio 2017, a distanza di oltre un anno, termine del tutto congruo per svolgere ogni attività ai sensi di legge, l'amministrato veniva rinvenuto in pessime condizioni igieniche, senza cibo e bevande e con rifiuti all'interno dell'abitazione. Tali elementi risultano indicativi di una accertata situazione di pericolo nel quale versava Tizio. In punto di fatto, tuttavia, è necessario domandarsi se fosse configurabile in capo a Caia una posizione di garanzia correlata al dato formale della sua qualifica di amministratrice di sostegno e, solo in caso di risposta affermativa a tale preliminare questione, se la sua condotta fosse sorretta dal dolo richiesto dalla norma.
La fonte da cui potrebbe scaturire l’obbligo di garanzia dell’amministratore di sostegno è rinvenibile nella legge 6 del 2004 e nelle disposizioni di cui agli articoli 404 ss. c.c. Nel dettaglio, la L. n. 6 del 2004, all’art. 1, attribuisce all'amministrazione di sostegno la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. In altri termini, l’amministrazione di sostegno, come confermato dall’art. 3 della già citata l. 6/2004, ha la finalità di offrire a chi si trovi nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella misura minore possibile la capacità di agire. Ciò significa che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina, l'amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace.
Nel caso in esame il decreto di nomina del giudice tutelare si limitava ad affidare a Caia il compito di gestire il trattamento pensionistico di Tizio e di impugnare, a nome di quest'ultimo, un contratto da questi stipulato nel 2015 sotto la spinta di artifici e raggiri perpetrati da terzi. Deve pertanto escludersi, alla luce della normativa richiamata (art. 404 e ss. c.c. e l. 6/2004) e in assenza di qualsiasi specificazione del giudice tutelare nel decreto di nomina, l'esistenza di una posizione di garanzia in capo a Caia.
G Tale impostazione trova conferma nella recente giurisprudenza di legittimità, a mente della quale il compito dell’amministratore di sostegno, pur avendo egli un dovere di relazionare periodicamente (secondo la cadenza temporale stabilita dal giudice) sull'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, resta quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali. La cura della persona, indicata dall’art. 357 c.c. a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall'art. 411, e dunque applicabili all'amministrazione di sostegno.
D3 Diverse considerazioni parrebbero maturare in relazione alla configurabilità in capo a Caia del delitto di cui all’art. 388 c.p., il quale tutela l’autorità effettività della giurisdizione, in relazione alle decisioni giudiziarie (I co.) o ai provvedimenti del giudice relativi all’affidamento di incapaci o che prescrivano misure cautelari a difesa della proprietà (II co.). L'art.388 c.p. configura una norma penale in bianco, in quanto lascia che il contenuto della condotta doverosa sia specificato dal provvedimento del giudice: sia esso sentenza, ordinanza o decreto, dal quale derivi, in capo ad un soggetto, un obbligo di fare o di non fare. Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 388, co. 2, c.p., tuttavia, non sarebbe sufficiente un mero comportamento omissivo, ma occorrerebbe un comportamento attivo del soggetto, diretto a frustrare o quanto meno a rendere difficile l'esecuzione del provvedimento giudiziale, in quanto la semplice inerzia è già perseguita dalla legge sul piano civilistico. La mera inottemperanza ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388 c.p., co. 2, c.p., infatti non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante (SS.UU.36692 del 2007). Nel caso concreto, pertanto, non risulterebbe configurabile in capo a Caia neppure tale reato.
C In conclusione è possibile affermare che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina, l'amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace. Caia, pertanto, non dovrebbe essere chiamata a rispondere in sede penale.
Stesura alternativa
Incipit - Il caso in esame impone di valutare, alla luce del criterio della specialità, il rapporto intercorrente tra l'abbandono di persone incapaci e l'omissione dolosa ad un provvedimento del giudice.
D1 Si ha concorso apparente di norme quando più norme sembrano disciplinare un medesimo fatto ma una sola di esse è applicabile al caso concreto o, altrimenti detto, quando una stessa condotta, attiva o omissiva, è suscettibile di essere ricondotta nel novero di più norme penali incriminatrici. La disciplina rappresenta un'applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale, a sua volta predicato dei principi del giusto processo, di cui all'art.111 della Costituzione, e della funzione di risocializzazione della pena dichiarata dall'art.27 Cost. Con l'espressione "ne bis in idem processuale" si indica il divieto di incardinare, nei confronti del medesimo soggetto, per lo stesso fatto, un secondo procedimento penale (ex art. 649 c.p.p., come modificato da Corte Cost. n.200 del 2016). Nelle fonti sovranazionali, il principio trova esplicito riconoscimento nell'art. 4 Prot. 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Si definisce, invece, "ne bis in idem sostanziale" il divieto di irrogare ad un soggetto una duplice sanzione per lo stesso fatto. Il codice penale italiano, all'art.15, adotta il criterio di specialità quale metro risolutivo del concorso apparente di norme. L’operatività del rapporto di specialità presuppone che una norma contenga tutti gli elementi costitutivi di un’altra disposizione generale, con l’aggiunta di in contenuto ulteriore, c.d. specializzante, sul presupposto indefettibile che ambo le prescrizioni regolino la stessa materia e abbiano identità strutturale. L’art. 15 c.p. stabilisce la prevalenza della legge speciale rispetto a quella generale che regoli la stessa materia. Speculare è la previsione dell’art.9, l. n.689 del 1981, che adotta lo stesso criterio per disciplinare il concorso tra norma penale e violazione amministrativa. La mancanza di una definizione normativa del concetto di “stessa materia” ha condotto la dottrina a fornire interpretazioni non univoche, orientate a valorizzare la concreta situazione di fatto o l’identità del bene giuridico tutelato. In giurisprudenza è largamente dominante il ricorso ad un criterio di tipo logico-formale, incentrato su un confronto strutturale tra le fattispecie. Il rapporto di specialità può descriversi come un rapporto di continenza strutturale fra due norme, nel quale tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie generale sono contenuti in un’altra fattispecie, la quale presenta a sua volta uno o più elementi specializzanti, per aggiunta o specificazione. La norma generale avrà una portata più ampia rispetto alla norma speciale, ma il rapporto tra le due sarà tale per cui, ove la seconda venisse a mancare, il fatto sarà riconducibile nella prima (c.d. specialità unilaterale). Nei casi di specialità bilaterale o reciproca, nei quali ciascuna norma è al contempo generale e speciale, poiché entrambe presentano accanto ad un nucleo di elementi comuni ulteriori elementi specifici e generici rispetto ai corrispondenti dell’altra, l'indirizzo del tutto dominante in giurisprudenza ritiene che si configuri un concorso di reati.
f Nel caso in esame, Caia viene nominata amministratrice di sostegno di Tizio, affetto da demenza senile tipo Alzheimer, con il compito di gestire il suo trattamento pensionistico e di impugnare, a nome di quest'ultimo, un contratto da questi stipulato. Ad oltre un anno di distanza dalla nomina, l'amministrato viene rinvenuto nella propria abitazione in pessime condizioni igieniche, senza cibo e bevande. Tale situazione parrebbe integrare, al tempo stesso, un pericolo per l'incolumità dell'assistito e la violazione del provvedimento del giudice.
D2 Nel dettaglio è dunque necessario indagare il rapporto intercorrente tra il delitto di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice civile relativo all'affidamento di persone incapaci e quello di abbandono di incapace, posto che entrambi paiono astrattamente applicabili alla fattispecie concreta.
L'art.388, II, c.p. configura una norma penale in bianco, in quanto lascia che il contenuto della condotta doverosa sia specificato dal provvedimento del giudice: sia esso sentenza, ordinanza o decreto, dal quale derivi, in capo ad un soggetto, un obbligo di fare o di non fare. Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 388, co. 2, c.p., tuttavia, non sarebbe sufficiente un mero comportamento omissivo, ma occorrerebbe un comportamento attivo del soggetto, diretto a frustrare o quanto meno a rendere difficile l'esecuzione del provvedimento giudiziale, in quanto la semplice inerzia è già perseguita dalla legge sul piano civilistico. La mera inottemperanza ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388 c.p., co. 2, c.p., infatti non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante (SS.UU.36692 del 2007). Nel caso concreto, pertanto, non risulterebbe configurabile in capo a Caia neppure tale reato.
Diversa è la struttura del delitto di abbandono di persone incapaci, prevista dall’art. 591 c.p., può essere commessa solo da un soggetto qualificato che rivesta una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo. La condotta consiste nell’abbandono della vittima : il soggetto agente, venendo meno agli obblighi di garanzia discendenti dalla sua posizione, agisce nella consapevolezza di esporre a pericolo la vita o l’incolumità individuale del soggetto vulnerabile. L'abbandono è integrato da qualsiasi azione in senso lato contrastante con il dovere di cura o custodia che grava sull'agente. La condotta può essere istantanea e può rilevare anche la mera omissione, purché sorretta dal dolo generico consistente nella coscienza e volontà di abbandonare. Secondo la giurisprudenza di legittimità il reato ha natura permanente e si protrae sino a quando l'agente (o il terzo) non faccia cessare la situazione di pericolo. Da un confronto strutturale tra le due previsioni emerge come le fattispecie presentino elementi reciprocamente specializzanti. La fattispecie di cui all’art.388, II, c.p., infatti, si riferisce esclusivamente agli obblighi che scaturiscono da un provvedimento del giudice civile (o amministrativo o contabile), mentre l'art.591 c.p. si incentra su una posizione di garanzia non necessariamente dipendente da un provvedimento dell'autorità giudiziaria. In aggiunta, la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice si realizza con la semplice violazione della decisione giudiziaria, mentre l'abbandono esige che venga in essere un pericolo per la salute o l'incolumità del soggetto passivo. Alla luce di tale indicazione si dovrebbe ritenere che, nel caso concreto, i due reati possano concorrere ai sensi dell'art.81, co.1, c.p.
F Caia è stata nominata nel Febbraio del 2016 e il 7 maggio 2017, a distanza di oltre un anno, termine del tutto congruo per svolgere ogni attività ai sensi di legge, l'amministrato veniva rinvenuto in pessime condizioni igieniche, senza cibo e bevande e con rifiuti all'interno dell'abitazione. Tali elementi risultano indicativi di una accertata situazione di pericolo nel quale versava Tizio. In punto di fatto, tuttavia, è necessario domandarsi se fosse configurabile in capo a Caia una posizione di garanzia correlata al dato formale della sua qualifica di amministratrice di sostegno e, solo in caso di risposta affermativa a tale preliminare questione, se la sua condotta fosse sorretta dal dolo richiesto dalla norma. La fonte da cui potrebbe scaturire l’obbligo di garanzia dell’amministratore di sostegno è rinvenibile nella legge 6 del 2004 e nelle disposizioni di cui agli articoli 404 ss. c.c. Nel dettaglio, la L. n. 6 del 2004, all’art. 1, attribuisce all'amministrazione di sostegno la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. In altri termini, l’amministrazione di sostegno, come confermato dall’art. 3 della già citata l. 6/2004, ha la finalità di offrire a chi si trovi nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella misura minore possibile la capacità di agire. Ciò significa che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina, l'amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace.
Nel caso in esame, il decreto di nomina del giudice tutelare si limitava ad affidare a Caia il compito di gestire il trattamento pensionistico di Tizio e di impugnare, a nome di quest'ultimo, un contratto da questi stipulato nel 2015 sotto la spinta di artifici e raggiri perpetrati da terzi. Deve pertanto escludersi, alla luce della normativa richiamata (art. 404 e ss. c.c. e l. 6/2004) e in assenza di qualsiasi specificazione del giudice tutelare nel decreto di nomina, l'esistenza di una posizione di garanzia in capo a Caia.
G Tale impostazione trova conferma nella recente giurisprudenza di legittimità, a mente della quale il compito dell’amministratore di sostegno, pur avendo egli un dovere di relazionare periodicamente (secondo la cadenza temporale stabilita dal giudice) sull'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, resta quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali. La cura della persona, indicata dall’art. 357 c.c. a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall'art. 411, e dunque applicabili all'amministrazione di sostegno.
D3 In ordine al delitto di cui all'art. 388, co. 2, c.p. si giunge ad analogo esito. La mancata esecuzione dolosa ad un provvedimento del giudice, infatti, non può realizzarsi per mera inerzia, in quanto occorre che l'agente ponga in essere una condotta diretta a frustrare o, quanto meno, a rendere difficile l'esecuzione del provvedimento giudiziale. La mera inottemperanza ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388 c.p., co. 2, c.p., infatti, non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante (SS.UU.36692 del 2007). Nel caso concreto, pertanto, non risulterebbe configurabile in capo a Caia neppure tale reato.
C In conclusione, è possibile affermare che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina, l'amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace. Caia pertanto non dovrebbe essere chiamata a rispondere in sede penale. Parimenti non potrà trovare applicazione la diversa fattispecie di cui all’art. 388, II co. cp., essendosi la condotta di Caia risoltasi in una mera inerzia.
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