Soluzioni Esame Avvocato 2018

Esame Avvocato 2018 Soluzioni Parere Civile- Traccia 2

Esame Avvocato 2018 Soluzioni Parere Civile- Traccia 2

Traccia 2

Tizio gioca una partita a poker con quattro sconosciuti, nel corso della quale viene bevuta da tutti una consistente quantità di whisky. Allesito della mano finale, Tizio perde limporto di euro 1.000 in favore di Caio. Non avendo con sé tale importo, chiede ed ottiene 24 ore di tempo per saldare il debito ma non riesce a procurarsi la somma necessaria. Pertanto, dietro pressioni di Caio e degli amici di questultimo che avevano partecipato alla partita, sottoscrive una dichiarazione con la quale promette il pagamento della vincita a Caio entro le successive 48 ore. Dopo aver pagato la somma, però, Tizio si rivolge al proprio legale rappresentando che gli altri giocatori avevano barato al gioco e che la promessa di pagamento gli era stata estorta dietro minacce di gravi ripercussioni alla propria integrità fisica. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga motivato parere esaminando le questioni sottese al caso ed individuando le varie possibilità di tutela offerte dallordinamento.

 

Argomenti relativi alla traccia trattati durante il Corso Zincani Esame Avvocato 2018: File 3, Sogni di mezza estate, File Principi del rapporto obbligatorio: pagine 32 e 33, nonché in generale sulla meritevolezza e autonomia, pagine 2 e 3; Schema 6 Lezione 3 “La patologia del contratto: invalidità inefficacia e rescissione”; nonché in D1 Generali del corso, vedi la patologia del contratto

Si consideri parimenti corretta una soluzione riferita alla nullità quale conseguenza della frode subita da Tizio, con relative argomentazioni sul punto.
 

Il caso in esame impone la preliminare disamina della patologia negoziale, in relazione al pagamento di un debito di gioco effettuato in forza di una successiva promessa di pagamento.

Per fronteggiare le patologie che possono colpire il negozio, l'ordinamento appronta una serie di strumenti rimediali che conducono alla cancellazione o alla revisione degli effetti scaturenti da negozi difettosi, la cui attuazione conduce inevitabilmente ad un progressivo allentamento della regola pattizia posta dalle parti e, conseguentemente, del principio pacta sunt servanda.

Le due figure principali di invalidità sono la nullità e l’annullabilità, le quali si distinguono per essere la prima posta a protezione di interessi di ordine pubblico e generali, mentre la seconda a presidio di interessi privati. Tutto ciò si traduce in una diversa qualificazione negativa del contratto da parte dell'ordinamento giuridico: nel caso della nullità, la valutazione posta in essere dall'ordinamento è di tipo oggettivo, consistente in un mero raffronto tra atto viziato e schema legale; nel caso dell’annullabilità, la valutazione deve tener conto anche dell'interesse del soggetto che dell'atto viziato può trarre vantaggio o ricevere pregiudizio, tanto che l'ordinamento, sebbene qualifichi negativamente l'atto, gli attribuisce effetti giuridici interinali. Non rientrano invece nell'area dell'invalidità le ipotesi della risolubilità, revocabilità, riducibilità, inopponibilità, del contratto, mentre per quanto attiene alla rescissione, alcuni autori la riconducono nell’ambito dell'invalidità, altri in quello dell'inefficacia.

L'annullabilità è una forma di invalidità ad attivazione giudiziale prevista a tutela di un interesse particolare. Il contratto annullabile, infatti, è provvisoriamente efficace ed è reso improduttivo di effetti dalla sentenza costitutiva di annullamento, pronunciata dal giudice su domanda della sola parte nel cui interesse è posta l'annullabilità del contratto. Tale particolare legittimazione attiva alla proposizione della domanda rappresenta una delle differenze principali del regime dell’annullabilità rispetto a quello della nullità. Altro tratto distintivo rispetto alla disciplina della nullità è la prescrivibilità dell’azione di annullamento in cinque anni, salvo che la legge disponga diversamente (art. 1442 c.c.). Dall’analisi delle cause di annullabilità è dato evincere che trattasi di un generale rimedio giudiziale approntato dal legislatore a tutela della formazione corretta del consenso. L’annullabilità, infatti, mira a proteggere la parte che ha espresso un consenso non del tutto consapevole o formatosi in modo non corretto. Il codice civile identifica le seguenti cause di annullabilità: a) incapacità legale e naturale (art 1425 c.c.); b) errore essenziale e conoscibile dall'altro contraente (art. 1428 c.c.); c) violenza (art. 1434 c.c.) ; d) dolo (art 1439 c.c.)

L'annullabilità non è rilevabile d'ufficio, ma è onere della parte legittimata proporre la relativa azione ovvero, se convenuta in giudizio, chiedere l'annullamento in via di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale. La sentenza che accoglie la domanda è una sentenza costitutiva (e non dichiarativa, come accade invece nella nullità) in quanto priva il contratto della sua originaria efficacia. In particolare, legittimata è la parte nel cui interesse è sancita l'invalidità: l'incapace, il soggetto caduto in errore, il contraente il cui consenso sia stato viziato da violenza o dolo, oltre all'erede della parte e, nella sola ipotesi della incapacità, ai terzi aventi causa. Uniche ipotesi di annullabilità assoluta, suscettibile di essere proposta da chiunque abbia interesse, sono previste dagli artt. 119 e 1141 c.c.. Come anticipato, l'azione di annullamento si prescrive in cinque anni dal momento in cui la parte ha superato l'incapacità ovvero ha scoperto errore, violenza o dolo. L’annullabilità, peraltro, può essere fatta valere in via di eccezione anche quando sia prescritta l’azione (art. 1442, comma 4, c.c.). L'annullamento ha effetto retroattivo e comporta l'obbligo di restituzione delle prestazioni o trasferimenti già eseguiti, potendo anche accompagnarsi alla pretesa di risarcimento del danno. Il contratto annullabile può essere sanato mediante convalida.

Tutto quanto detto sinora, si deve intendere come applicabile ad ogni atto giuridico a contenuto patrimoniale in forza dell’art. 1324 c.c., quindi – come si specificherà - anche delle promesse di pagamento.

Nel caso di specie Tizio, a seguito della partita di poker, subiva diverse pressioni e sottoscriveva una promessa di pagamento, cui conseguiva l’effettiva consegna della somma.

Il tema della validità negoziale, è strettamente consequenziale al suo antecedente logico e giuridico, vale a dire l’obbligazione. Punto di riferimento, a tal proposito, è l’art. 1173 c.c. che, come è noto, riguarda le fonti da cui nascono le obbligazioni, cioè il contratto, il fatto illecito o ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico. In altre parole, il legislatore prende in considerazione certi avvenimenti o situazioni ritenendoli giuridicamente rilevanti e riconoscendo, al tempo stesso, il formarsi di un vincolo giuridico cui appresta apposita tutela. In presenza di un vizio riguardante il rapporto obbligatorio o laddove manchino gli elementi essenziali, come detto, il legislatore prevede della cause di invalidità in quanto si ha una patologia che colpisce il vincolo. In altre parole, ciò significa anche che il legislatore ritiene che certi eventi meritino un riconoscimento giuridico. Tali eventi assurgono al rango di fonte dell’obbligazione e creano un vincolo giuridico. Viceversa, i vincoli non giuridici non sono tutelati e potrà aversi la ripetizione di quanto prestato in forza di un titolo non riconosciuto dall’ordinamento.

Si tratta allora di capire se il pagamento effettuato da Tizio sia conseguente ad un valido vincolo giuridico oppure se esistano delle ragioni per ripetere quanto versato.

Merita innanzitutto distinguere tra le scommesse pienamente tutelate dal diritto (che danno origine ad una obbligazione civile, di cui agli artt. 1934 e 1935 c.c.) e scommesse proibite (punite dalla legge penale ex art. 718 ss. c.p.). Nel caso di specie si tratta in realtà di una terza categoria, vale a dire le scommesse non proibite, regolate dall’art. 1933 c.c. Gli effetti riconosciuti dall’ordinamento alla scommessa lecita sono l’impossibilità, per il vincitore, di agire per ottenere il pagamento del debito di gioco o di scommessa e l’irripetibilità di quanto pagato spontaneamente dal giocatore perdente, per cui colui che ha ricevuto il pagamento ha diritto di trattenere il pagamento (c.d. soluti retentio)

Il fondamento dell’irripetibilità si ravvisa, secondo parte della giurisprudenza, nella natura di obbligazione naturale (art. 2034 c.c.) del debito di gioco. Come detto, di regola i vincoli non giuridici non hanno alcuna rilevanza per il diritto. Tali vincoli, di conseguenza, non attribuiscono azione giudiziaria poiché, dal punto di vista sostanziale, non generano diritti. Vi sono tuttavia casi eccezionali in cui l’ordinamento riconosce rilevanza giuridica a semplici doveri morali e sociali. In altre parole, esistono dei rapporti obbligatori ai quali l’ordinamento riconosce soltanto alcuni degli effetti che sono propri dell’obbligazione civile: si parla, in questo senso, di obbligazioni imperfette. Tipico esempio di obbligazione imperfetta è appunto la figura dell’obbligazione naturale, con la quale si concede un parziale riconoscimento agli obblighi di carattere sociale e morale.

Nel caso di specie, sembrerebbe doversi affermare che, poiché Tizio ha preso parte ad un gioco non proibito ed ha successivamente pagato, tale somma non potrà essere ripetuta in ragione del principio della soluti retentio. Tuttavia, l’art. 1933 c.c. subordina l’irripetibilità all’assenza di frode nel vincitore (ossia, assenza di malafede, di dolo e scorrettezze che abbiano alterato l’andamento della gara), alla spontaneità dell’adempimento (assenza di costrizione, artifici o raggiri), alla capacità di intendere e di volere del solvense alla posteriorità dell’esecuzione della prestazione rispetto all’accertamento dell’esito del gioco e della scommessa. Rilevano dunque in primo luogo le pressioni subite da Tizio, in aggiunta allo stato di incapacità dovuto all’assunzione della bevanda alcolica. A ciò si aggiunga che nel corso del gioco vi è stata una frode da parte di alcuni giocatori e che lo stesso Tizio è stato fortemente minacciato. I menzionati elementi portano tutti a ritenersi che debba trovare applicazione il secondo comma dell’art. 1933 c.c.: il perdente cha ha subito una frode e in stato di incapacità potrà chiedere la ripetizione di quanto versato.

Analoghe considerazioni, in questo senso, devono svolgersi in relazione alla promessa di pagamento sottoscritta dal medesimo Tizio. In primo luogo, infatti, ai sensi dell’art. 1988 c.c., si ritiene che la ricognizione del debito e, analogamente, la promessa di pagamento, consistano in una dichiarazione recettizia, non integrando una fonte autonoma di obbligazione con la conseguenza che sarebbero destinate a perdere efficacia qualora la parte da cui provenga dimostri che il rapporto medesimo non sia stato instaurato, o sia sorto invalidamente (Cass. 13506/2014).  Tuttavia, nel caso di specie, la dichiarazione sottoscritta potrebbe essere interpretata come un negozio collegato al gioco, con ciò intendendo ogni negozio o situazione che venga a trovarsi con il gioco in un nesso teleologico. Il collegamento negoziale con il contratto di gioco assume una connotazione particolare proprio in relazione all’applicabilità dell’art. 1933 c.c. ai contratti collegati. Secondo l’impostazione seguita dalla Suprema Corte, la disciplina predetta viene considerata estensibile ai contratti collegati al gioco ed alla scommessa quando essi costituiscano mezzi funzionalmente connessi all’attuazione del gioco o della scommessa e siano tali da realizzare tra i giocatori le stesse finalità pratiche del rapporto di gioco, condividendo di conseguenza la causa (in tal senso: Cass. 7694/2014 e Cass. 4209/1992).

Nel caso di specie, il negozio senza dubbio mira a garantire quella funzionalità prevista dalla partita di poker (cioè ottenere il premio da parte di chi ha vinto la partita). A ciò si aggiunga il fatto che alcuni dei giocatori hanno barato, unitamente allo stato di incapacità di Tizio dovuto all’alcool. Alla luce delle precedenti argomentazioni, tali elementi portano all’applicazione del secondo comma dell’art. 1933 c.c. e quindi sarà ammessa la ripetizione della somma versata. A ciò deve aggiungersi che, sia che si consideri la promessa come un negozio collegato, sia che lo si consideri come una fattispecie autonoma, nel caso di specie si avrebbe comunque il problema di ritenere valido e meritevole di tutela un negozio volto a trasformare l’obbligazione ex art. 1933 c.c. in una obbligazione civile. In altre parole, la questione consiste nel ritenere o meno meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. un tale negozio sul debito di gioco. La soluzione deve essere negativa. Infatti, sulla base delle osservazioni predette, da una lato mancherebbe comunque l’elemento di spontaneità; dall’altro dovrebbe ritenersi presente un duplice vizio del consenso (dovuto alle pressioni e minacce), con conseguente annullabilità di esso.

Quanto agli strumenti di tutela, Tizio, come appena detto potrà chiedere l’annullamento del contratto, ai sensi dell’art. 1425 ss., specificamente facendo valere entrambi i vizi riscontrabili: l’incapacità naturale conseguente allo stato di ebbrezza (art. 428 c.c.) e la violenza perpetuata dai giocatori nei suoi confronti (1434 c.c.); quale delle due venga accertata in giudizio, gli effetti della sentenza saranno comunque volti a annullare il negozio, quindi a privarlo di efficacia ex tunc, con conseguente obbligo dell’accipiens a restituire quanto avuto in prestazione.

In conclusione, Tizio potrà richiedere l’annullamento per incapacità naturale o per vizi del consenso (violenza): questa azione gli permette di rimuovere dal contesto giuridico l’atto viziato e ottenere in ripetizione quanto versato. In via subordinata potrà altresì invocare l’applicazione dell’art. 1933, II, c.c. dovendo però in questo caso dare prova dell’esistenza di una frode nell’ambito del gioco; infine, può chiedere, in via ulteriormente subordinata, la ripetizione di quanto versato in occasione della partita per gli effetti dell’art. 1933, II, ultima parte, c.c., laddove specifica che la ripetizione è sempre ammessa nel caso in cui il perdente sia incapace, ed è questo il caso.



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