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v. Scuola Zincani, Lez. 3, file 11
L'imprenditore individuale Tizio si rivolge alla Società Gamma affinché la stessa acquisti un macchinario che è in vendita presso il negozio gestito da Caio e glielo conceda poi in locazione finanziaria. Il contratto di Leasing viene stipulato e prevede il pagamento, a carico dell'utilizzatore Tizio, della complessiva somma di 60.000 euro, suddivisa in rate mensili dell'importo di 1000 euro ciascuna. Contestualmente, la società gamma e il fornitore stipulano un patto di riacquisto in forza del quale Caio, in caso di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing e a seguito di apposita richiesta da parte della società Gamma, si obbliga a riacquistare il bene a un prezzo prestabilito. Nel corso del rapporto contrattuale, però, Tizio non paga le ultime 10 rate pattuite. Caio, pur consapevole di non esservi tenuto e per evitare di essere costretto a riacquistare un bene che, in quanto usato, ha ormai perso gran parte del suo valore commerciale, decide di provvedere lui stesso al pagamento dei residui canoni insoluti e versa alla società concedente la somma di 10.000 euro. Successivamente Caio cita in giudizio Tizio dichiarando di agire in regresso ai sensi dell'articolo 1950 cc e chiedendo la restituzione della somma, maggiorata degli interessi legali dalla data del pagamento. Tizio, ricevuta la notificazione dell'atto di citazione, si rivolge ad un legale per un consulto. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga un parere motivato illustrando le questioni sottese al caso in esame e indicando la linea difensiva più utile a tutelare la posizione del proprio assistito.
Il caso in esame richiede l’analisi del contratto di leasing in relazione al principio di buona fede, con specifico riferimento al collegamento negoziale e alle conseguenze derivanti dal mancato pagamento del canone locatizio da parte dell’utilizzatore.
Il leasing ha trovato espresso riconoscimento nella L. 4 agosto 2017, n. 124,, che lo definisce come il contratto con cui una banca o altro intermediario finanziario si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene secondo le indicazioni dell’utilizzatore, il quale ne ottiene la detenzione per un dato tempo verso il pagamento di un corrispettivo. Prima della riforma, dottrina e giurisprudenza avevano considerato ammissibile tale figura ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c., valorizzando la meritevolezza degli interessi perseguiti. In particolare, il leasing era già identificato come un collegamento negoziale tra una compravendita, stipulata tra fornitore e concedente, e una locazione, conclusa tra concedente ed utilizzatore. Il contratto oscillava tra i poli opposti della locazione e della vendita a rate, ma aveva una propria causa unitaria e autonoma, rappresentata dalla funzione creditizia. Invero, il leasing, stipulato tra concedente e utilizzatore, resta un’operazione complessa, che coinvolge soggetti terzi rispetto al contratto, come il venditore o il costruttore del bene indicato dall’utilizzatore, i quali stipulano un contratto di compravendita per immobili anche da costruire con il solo concedente e non anche con l’utilizzatore. Tale situazione genera il sorgere di obbligazioni ulteriori, che rinvengono la loro origine nel rispetto del generale principio di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.. Il principio di buona fede è fonte di reciproci doveri di lealtà e salvaguardia dell’altrui sfera giuridica, in forza dei quali le parti sono tenute a porre in essere tutte le condotte, anche non previste, volte a preservare l’una gli interessi dell’altra. Il contenuto del contratto, quindi, si compone non solo delle obbligazioni in esso esplicitamente dedotte, ma anche di obbligazioni accessorie o complementari, aventi ad oggetto prestazioni non esplicitate ma strumentali all’esecuzione della prestazione principale ed orientate a salvaguardare interessi distinti ma correlati a quelli tipici e primari. Il canone di buona fede, infatti, interpretato alla luce dei principi costituzionali di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., rappresenta uno strumento integrativo dei contratti e non un mero effetto dei medesimi.
Come anticipato, la L. 124 del 2017, all'art.1, co. 136, ha tipizzato il leasing finanziario, sottraendolo al novero dei contratti atipici. Il legislatore definisce la locazione finanziaria come il contratto con il quale la banca - o l'intermediario finanziario iscritto nell'albo di cui all'art 106 T.U.B. - si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore che ne assume tutti i rischi anche di perimento e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato. Alla scadenza del contratto l'utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero in caso di mancato esercizio del diritto l'obbligo di restituirlo. La L. n. 124/2017 ha, inoltre, individuando i casi in cui l’inadempimento dell’utilizzatore deve essere considerato grave, tanto da integrare gli estremi per la risoluzione del contratto. Il grave inadempimento si atteggia in modo diverso a seconda del contratto stipulato: nei contratti di leasing immobiliare coincide con il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali, anche non consecutivi e di importo diverso; negli altri contratti di leasing, di quattro canoni mensili. La novella ha, inoltre, specificato che a seguito della risoluzione del contratto per inadempimento, il concedente ha il diritto alla restituzione del bene e al pagamento, da parte dell’utilizzatore, di una somma pari alla differenza tra quanto avrebbe incassato per effetto del riscatto e quanto effettivamente ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene.
Nel caso proposto, Tizio si rivolgeva alla società Gamma affinché la stessa acquistasse un bene di proprietà di Caio, successivamente concedendoglielo in leasing. La società stipulava con Caio un patto di retrovendita con cui quest’ultimo si vincolava a riacquistare ad un prezzo prestabilito il bene in caso di inadempimento e a seguito di specifica richiesta di Gamma. In seguito, Tizio si rendeva inadempiente, non pagando gli un dieci canoni per una somma pari a 10.000 euro. Il fornitore Caio versava a Gamma le dieci rate ed esercitava azione di regresso nei confronti di Tizio per il medesimo importo, oltre interessi.
Al fine di comprendere se Caio possa esercitare l’azione di regresso nei confronti dell’utilizzatore occorre, in primo luogo, indagare la natura del patto di retrovendita intervenuto tra Caio e la società Gamma. Nello specifico, occorre verificare se tale patto costituisca una garanzia autonoma, una garanzia fideiussoria (ex artt. 1950 e s.s. c.c.) oppure si tratti di compravendita estranea all’operazione di leasing.
Il patto di retrovendita è una figura non prevista dal codice con cui il compratore si obbliga a rivendere all’originario proprietario la cosa comprata, dietro richiesta di quest'ultimo. Il contenuto del patto di retrovendita, quindi, è identico al patto di riscatto, ma, tra le due figure, differente è il momento traslativo della proprietà, immediato nel primo caso e al pagamento dell’ultima rata nel secondo. Il patto di retrovendita, inoltre, non deve essere trascritto, e non è opponibile erga omnes, il che significa che se il compratore aliena la cosa a un terzo il venditore non potrà più recuperarla e dovrà limitarsi a chiedere il risarcimento del danno. Tale patto, inoltre, non ha effetti retroattivi, pertanto, se il venditore ricompra il bene, il nuovo trasferimento avrà efficacia ex nunc, non ripristinandosi la situazione precedente alla vendita, ma venendo a sorgere una nuova situazione giuridica, nella quale colui che riacquista il bene è considerato avente causa dell'alienante.
Applicando tali principi al caso di specie, con riguardo alla struttura del patto stipulato fra Caio e Gamma, caratterizzato dall’impegno del fornitore di riacquistare la merce attraverso una retrovendita - e non consistente in una mera surrogazione di questi nell’obbligo dell'utilizzatore di pagare i canoni - è possibile affermare che il patto di riacquisto stipulato da Gamma e Caio è garanzia atipica del tutto avulsa dallo schema della disciplina della fideiussione. Si tratta, piuttosto, di un contratto preliminare di retrovendita condizionato alla risoluzione del contratto di leasing, come tale produttivo di effetti meramente obbligatori fra le sole parti originarie del contratto in forza del principio di relatività degli effetti del contratto (art. 1372 c.c.). Pertanto, tale accordo, oltre a tenere estraneo Tizio dalle relative conseguenze in caso di un inadempimento costituisce una garanzia autonoma rispetto alle sorti dell’obbligazione principale. Ne consegue l’inapplicabilità della disciplina in tema di fideiussione ex art. 1950 c.c. e l’inopponibilità comunque del patto al terzo estraneo all’accordo. Tizio, dunque, nulla deve a Caio, non integrandosi un vincolo fideiussorio in ragione di quanto sinora esposto. Anzi, a suo esclusivo vantaggio, la concedente Gamma dovrà liquidare il valore di mercato del bene al netto dei canoni insoluti e del costo dell’operazione. Infatti, da un lato, dovrà tenersi conto che si è in presenza di un collegamento negoziale e che Tizio è estraneo alla compravendita tra fornitore e concedente;dall’altro, si consideri che grava su tutte le parti un generico obbligo di salvaguardia e protezione della sfera giuridica altrui e, nello specifico, Gamma non potrà giovarsi di vantaggi sproporzionati e comunque lesivi della posizione del soggetto debole, ossia l’utilizzatore. Tali principi sono oggi espressi anche dalla normativa sul leasing, la quale specifica che, a seguito della risoluzione del contratto per inadempimento, il concedente ha il diritto alla restituzione del bene e al pagamento, da parte dell’utilizzatore, di una somma pari alla differenza tra quanto avrebbe incassato per effetto del riscatto e quanto effettivamente ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene. La giurisprudenza ha più volte affermato che l’applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, ma è inderogabile, comportando in linea generale, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni corrisposti salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni (Cass. 18326/2018).
In relazione al quantum dovuto in via riconvenzionale a seguito della novella, lo stesso è regolato dall’art. 1 co. 137 e 138 i quali dispongono che, in presenza di un grave inadempimento, con evasione di oltre sei canoni mensili, in caso di risoluzione è dovuto il versamento del ricavato della vendita del bene o da altra collocazione ai valori di mercato in favore dell’utilizzatore, dedotte le somme dei canoni inevasi e non pagati da questi fino alla data della risoluzione.
(Deve ritenersi parimenti corretta la soluzione che qualifica il pagamento di Caio quale adempimento del terzo di cui all’art. 1180 c.c. considerato che costui non era in alcun modo tenuto ad assolvere l’obbligazione dell’utilizzatore Tizio, com’è sottolineato dell’assoluta spontaneità dell’atto pagamento, finalizzato unicamente a scongiurare l’insorgenza dell’obbligo di riacquisto del bene)
Alla luce di quanto sopra esposto, Tizio potrà resistere alle pretese di Caio, nulla dovendo in relazione all’esborso da questo sostenuto in riferimento al patto di retrovendita. In ogni caso, resta salvo il diritto di Tizio di chiedere al concedente il ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene ai valori di mercato, detratti i canoni non corrisposti nel corso della risolta operazione di leasing.
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