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Traccia n.1
Divergenze filosofiche sulle migliori offerte V. Scuola Zincani, Lez. 4, f. 1, 2 e 11
Tizio, dipendente di una multinazionale, riceve dal suo superiore Mevio l'incarico di sorvegliare il collega di lavoro Caio ed impedire che lo stesso divulghi ad aziende concorrenti alcuni importanti segreti aziendali dei quali è a conoscenza. Un giorno Tizio segue Caio nei locali dove è in corso di svolgimento una convention e nota che lo stesso, dopo essersi appartato con due persone, consegna loro una pen drive e ne riceve in cambio una busta, nella quale gli sembra di scorgere del denaro. Convinto di aver assistito alla consegna di materiale di proprietà aziendale in favore di personale riconducibile ad una società concorrente, Tizio, sentendosi autorizzato dall'ordine del proprio superiore gerarchico, interviene bruscamente e aggredisce il gruppo, pretendendo l'immediata consegna del supporto informatico. Ne nasce una colluttazione nel corso della quale Tizio, credendo di scorgere un'arma puntata nella sua direzione, impugna la pistola legalmente detenuta ed esplode un colpo in direzione di Caio, colpendolo in modo letale. Subito dopo, spaventato per l'accaduto, Tizio si dà alla fuga, portando con sé la pen drive caduta a terra durante la colluttazione. Il candidato, assunte le vesti dell'avvocato di Tizio, individui le ipotesi di reato configurabili a carico del suo assistito, prospettando, altresì, la linea difensiva più utile alla difesa dello stesso.
Svolgimento
Il caso in esame impone di valutare i confini della legittima difesa putativa.
Le cause di giustificazione individuano particolari situazioni che rendono lecito o doveroso un fatto previsto come reato, in ragione della necessità di operare un bilanciamento tra interessi contrapposti, nel rispetto del principio di non contraddizione. Gli elementi strutturali della causa di giustificazione della legittima difesa sono dati dalla sussistenza di un'aggressione ingiusta e di una reazione legittima, la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (sia esso personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, con riferimento alla seconda, invece, la reazione è legittima se necessaria per difendersi da un pericolo inevitabile.
Oggetto dell'offesa deve essere un diritto o un interesse legittimo tutelato nell’ordinamento, non una situazione di vantaggio di mero fatto; l’offesa deve essere ingiusta, cioè contraria all’ordinamento, o meglio, deve essere arrecata non in iure, in assenza di qualsiasi norma che la imponga (ad es. adempimento del dovere), o che la autorizzi. Per la configurabilità della scriminante, inoltre, il pericolo deve essere attuale, incombente, derivante da una situazione che, se non interrotta, sfocerebbe nella lesione di un diritto, la cui valutazione deve avvenire secondo un giudizio ex ante e in concreto, in quanto, per verificare la sussistenza dei presupposti della scriminante deve essere analizzata la specifica situazione di fatto verificatasi in conseguenza dell'aggressione. La reazione, infatti, è scriminata solo se necessaria per difendere il bene aggredito, se non sia possibile evitare altrimenti l'offesa al diritto proprio o altrui: il giudizio di necessità non è mai assoluto, ma relativo, in quanto si formula in relazione alle circostanze del caso concreto.
In seguito alla duplice riforma operata con L. 59 del 2006 e 39 del 2019, la legittima difesa assume connotati peculiari nel caso in cui l’esercizio del diritto all’autotutela avvenga in un luogo di privata dimora o in cui venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale. In tal caso, la proporzione tra difesa e offesa è presunta ("sempre") se la persona ivi presente legittimamente faccia uso di un’arma legalmente detenuta, o di altro mezzo, per difendere la propria o l’altrui incolumità, o i beni propri o altrui quando non vi sia desistenza e sussista il pericolo di aggressione. Il nuovo art. 52, co. 4, c.p. ha introdotto un’ipotesi ulteriore, relativa ai casi di violazione di domicilio aggravata (art. 614, co. 4, c.p.) posta in essere con violenza, minaccia o uso di armi da parte di una o più persone). In tale ipotesi, è prevista una presunzione ancor più ampia, di sussistenza non solo di uno (la proporzionalità) ma di tutti i requisiti della scriminante (attualità del pericolo, inevitabilità e proporzione della reazione).
Nel caso concreto deve escludersi che possa operare una legittima difesa nei luoghi richiamati dal terzo comma dell'art.52 c.p., in quanto, pur avvenendo il fatto nell'ambito di una convention aziendale, latamente riferibile ad un luogo in cui "si svolge" l'attività d'impresa, si può escludere che Caio si sia ivi introdotto contro la volontà di chi aveva diritto ad escluderlo, clandestinamente o con l'inganno, essendo lui stesso un dipendente dell'azienda.
Occorre pertanto stabilire se l'azione letale di Tizio possa dirsi scriminata ai sensi dell'art.52, I, c.p., se non altro in relazione alla scriminante putativa di cui al quarto comma dello stesso articolo.
Egli, infatti, ha agito con violenza per impedire fatti di concorrenza sleale, al fine di impossessarsi di una supporto informatico verosimilmente contenente materiale di proprietà aziendale.
L’art. 59, IV, c.p. stabilisce che se il soggetto ritiene per errore che sussistano tutti i presupposti per l’operatività della causa di giustificazione, la stessa può essere valutata in suo favore. Tale disposizione attribuisce rilevanza alla figura della scriminante putativa, equiparando la situazione di chi agisce in presenza di una causa di giustificazione a quella di chi confida erroneamente nella sua esistenza. L’errore, per avere efficacia scusante, deve investire i presupposti di fatto che integrano la causa di giustificazione. Deve, invece, escludersi la rilevanza esimente di un errore di diritto, sfociante nell’erronea (e inescusabile) convinzione che la situazione nella quale l’agente si trova ad operare rientri tra quelle cui l’ordinamento giuridico attribuisce efficacia scriminante, in virtù del generale principio ignorantia legis non excusat posto dall’art. 5 c.p.
L'art.59, IV, c.p. riflette la regola generale sancita dall’art. 47 c.p. in relazione all’errore di fatto: l’erronea convinzione che sussistano delle condizioni che consentono o impongono il comportamento, in maniera analoga rispetto a chi erra su un requisito positivo della stessa, esclude infatti il dolo, in quanto l'agente non si rappresenta né vuole un fatto punibile, bensì un fatto ritenuto lecito. L'agente deve rappresentarsi la situazione in relazione ad elementi concreti, tali da giustificare la ragionevole persuasione di osservare tutti i requisiti che caratterizzano una determinata scriminante.
Nel caso concreto, Tizio, munito di pistola, ha aggredito Caio e altri due astanti, provocando una colluttazione. Nell’ambito della stessa, Tizio ha esploso un colpo d’arma da fuoco in direzione di Caio, cagionandone la morte. A nulla rileva il fatto che egli abbia creduto erroneamente di scorgere un’arma puntata nella sua direzione. Egli infatti, si è posto volontariamente in una situazione di pericolo, in quanto ben avrebbe potuto allontanarsi momentaneamente richiedendo l'intervento dell'autorità e, inoltre, ha aggredito unilateralmente il gruppo composto da Caio e dai due supposti complici di quest'ultimo. La legittima difesa, anche nella forma putativa, non può essere riconosciuta al soggetto che reagisce ad una situazione di pericolo nella quale egli stesso ha concorso con il suo comportamento, determinandosi ad agire nonostante disponesse della possibilità di evitare la colluttazione (Cass. pen., I, 2018, n. 37289; Cass. pen., V, 2019, n. 36143). Occorre, dunque, ritenere che la condizione di necessità indispensabile per la configurazione della legittima difesa ha una portata perentoria che esclude dal suo rigoroso orizzonte applicativo qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo.
All'inapplicabilità della scriminante putativa, di cui al combinato disposto degli artt.52 e 59, IV, c.p. consegue la responsabilità di Tizio per omicidio volontario.
Ulteriormente, a Tizio potrà essere contestato il delitto di rapina propria di cui all’art. 628, I, c.p. per l'appropriazione violenta della pen drive. La rapina è un reato complesso che ricorre qualora l’agente eserciti minaccia o violenza, conseguendo l’immpossessamento del bene, da intendersi quale autonomo potere di signoria sulla cosa. Da un punto di vista soggettivo, l’art. 628, co. I, c.p. richiede il dolo specifico consistente nella finalità di realizzare un ingiusto profitto per sé o per altri. La qualificazione della condotta in termini di rapina si impone perché la vis corporis corpori data nei confronti del detentore del bene risulta sproporzionata e travalica il ragionevole intento di far valere un diritto (Cass. pen., sez. II, n. 56400 del 2018; Cass. pen., II, n. 22490 del 2019). Diversamente da quanto accade nell'estorsione, in cui l'agente consegue il bene quale effetto di una violenza che consente all'agente un margine di autodeterminazione, seppur minimo, nella rapina la violenza si sostanzia in un impulso cinetico che per il destinatario risulta invincibile. E' quanto accaduto nel caso di specie, in cui l'aggressione violenta determina la caduta a terra della pen drive e il conseguente sposseamento, quale effetto dell'allontanamento di Tizio dai luoghi.
In conclusione, Tizio potrà essere chiamato a rispondere dell'omicidio volontario di Caio, ai sensi dell'art.575 c.p., in concorso con il delitto di rapina, ex art.628, I, c.p.
In chiave difensiva, Tizio potrà far valere la valenza sorpassante del pericolo che egli ha percepito, scorgendo erroneamente un’arma puntata nella propria direzione. Infatti, anche a fronte di un pericolo volontariamente causato, la difesa può dirsi necessitata nel caso di eventi del tutto eccezionali e per nulla proporzionati rispetto alle normali conseguenze della condotta dell’agente (Cass. pen., V, 19 febbraio 2015, n. 32381). In tal senso occorre precisare che un conto è accettare il rischio delle normali conseguenze di una colluttazione a mani nude, altra cosa è ritenere che ponendosi in quella situazione Tizio abbia effettivamente aderito alla prospettiva di un conflitto a fuoco. Pertanto, potrà sostenersi l’operatività della legittima difesa putativa di cui al combinato disposto degli artt. 52-59 IV c.p., con conseguente configurazione di un omicidio soltanto colposo, in luogo dell’omicidio volontario.
Ulteriormente, in luogo del più grave delitto di rapina, potrà essere sostenuta l'applicazione della più mite previsione di cui all'art.393 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza). Pur a fronte di un orientamento maggioritario che ricomprende gli artt. 392 e 393 c.p. tra i c.d. “reati di mano propria”, configurabili soltanto se la condotta tipica è posta in essere dal titolare del preteso diritto (Cass. II, 3 novembre 2016, n. 46288), dovrà sostenersi che Tizio, in ragione dell’incarico ricevuto da Mevio per conto della multinazionale, abbia agito nell’esercizio di un diritto dell’ente e nella convinzione ragionevole di scongiurare la divulgazione del segreto aziendale, tutelando una legittima prerogativa della società per la quale egli lavora.
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