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Atto giudiziario in materia di D.Civile
Con atto di citazione notificato il 15 giugno 2018 Tizio, unico figlio del defunto Sempronio, cita in giudizio Caio esponendo che con contratto del 10/04/12, Mevio aveva apparentemente venduto a Ciao un appartamento sito in Roma ma che tale vendita per la quale era stato regolarmente pagato il prezzo convenuto, era relativamente simulata sul piano soggettivo dal momento che il vero acquirente del bene era stato suo padre, all’epoca ancora in vita. Chiede dunque, previa declaratoria del carattere simulato della compravendita, l’accertamento dell’inclusione del predetto immobile nel patrimonio ereditario del padre Sempronio, così da poter far valere sul cespite i diritti a lui spettanti per successione legittima. A sostegno della propria domanda, l’attore indica alcuni elementi a suo dire indicativi di una fattispecie simulatoria e, segnatamente, il rilascio da parte di Caio in favore di Sempronio di una procura a vendere il medesimo immobile, l’intestazione a nome di Sempronio delle utenze idriche ed elettriche, esecuzione di lavori di ristrutturazione dell’immobile con il denaro del de cuius, nonché l’omessa fissazione della residenza presso l’immobile da parte dell’acquirente apparente. Caio si costituisce tempestivamente in giudizio senza sollevare specifiche eccezioni ma limitandosi a negare la dedotta simulazione. Alla prima udienza il giudice adito rinvia la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 20/10/2019 nella quale assegna alle parti i termini di cui all’art. 190 cpc e invita le stesse a prendere posizione, nei propri scritti difensivi, anche sulla questione, sollevata di ufficio, concernente l’eventuale necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di Mevio. Il candidato assunte le vesti del legale di Caio rediga l’atto difensivo richiesto svolgendo le difese più utili a tutelare la posizione del proprio assistito.
Svolgimento
TRIBUNALE CIVILE DI ROMA (ex art. 21 c.p.c.)
(RG. N. ____/2018 – SEZ. ____, GIUDICE DOTT. _______)
COMPARSA CONCLUSIONALE EX ART 190 CPC
Nell’interesse di CAIO– rappresentato e difeso dall’Avv. __________
convenuto
Nella causa promossa da
TIZIO – rappresentato e difeso dall’Avv. __________
attore
Brevi premesse
L’odierno giudizio trae origine dalla compravendita dell’immobile sito in Roma, in via __________ n. ____ (foglio ___, part. ______, sub. _____), stipulata in data 10/04/2012 da Mevio e Caio – rispettivamente venditore e acquirente – per il prezzo di € _________.
Con atto di citazione ritualmente notificato, Tizio –nell’asserita qualità di erede di Sempronio – conveniva in giudizio Caio, per ottenere l’accertamento e la declaratoria del carattere simulato della suddetta compravendita immobiliare e, di conseguenza, per ottenere l’accertamento dell’inclusione dell’appartamento in questione nel patrimonio ereditario del defunto padre.
Caio si costituiva tempestivamente in giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese attoree, siccome infondate in fatto e in diritto e, comunque, non supportate da validi elementi probatori.
Alla prima udienza, il giudice adito rinviava la causa al 20/10/2019, per la precisazione delle conclusioni. In quest’ultima data, il giudice tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c., per conclusionali e repliche; il giudice invitava espressamente le parti a prendere posizione sulla questione della necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di Mevio.
In diritto
In via preliminare, in rito
E’ stata oggetto di contrasto giurisprudenziale. la questione relativa alla necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del venditore nell’ambito dei giudizi inerenti l’accertamento dell’interposizione fittizia dell’acquirente nel contratto di compravendita immobiliare.
Secondo un primo orientamento, l’integrazione del contraddittorio nei confronti del venditore sarebbe indispensabile ogni qualvolta la verifica della simulazione costituisca oggetto diretto di una domanda e non solo di un’eccezione o comunque di un accertamento incidentale. Tale impostazione ritiene sussistente l’interesse del venditore anche a prescindere dai risvolti pratici relativi all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal negozio traslativo, per il solo fatto che la pronuncia richiesta al giudice sia funzionale ad un’esigenza di certezza delle relazioni giuridiche, destinata a fare stato nei confronti dell’alienante.
Per l’orientamento contrapposto è invece necessaria la valutazione circa la sussistenza in concreto di tale interesse; più precisamente, la presenza in giudizio del venditore, in qualità di litisconsorte necessario nella controversia promossa dal terzo nei confronti dell’acquirente dissimulato, non è indispensabile quando il contratto sia stato integralmente eseguito nei confronti del venditore medesimo e, conseguentemente possa escludersi il suo interesse a conservare, quale contraente, la persona interposta anziché l’originario stipulante.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aderito al secondo orientamento (Cass. Civ., Sez. Un., 14 maggio 2013, n. 11523). La Suprema Corte ha spiegato che l’elemento decisivo ai fini della affermazione o esclusione della necessità del litisconsorzio con il venditore consiste nell’interesse del medesimo alle sorti dell’accordo simulatorio destinato all’interposizione fittizia della parte acquirente. A differenza della simulazione assoluta – la quale, importando la nullità del negozio, rende necessario che il giudizio si svolga nei confronti di tutti i partecipi dello stesso, per cui si configura la tipica ipotesi del litisconsorzio necessario – la simulazione relativa non determina la nullità del negozio, ma soltanto la sostituzione della persona interposta con quella reale. Ne consegue che l’alienante è normalmente estraneo alla contestazione relativa all’appartenenza della cosa oggetto del negozio. La sua partecipazione al giudizio può essere giustificata solo sulla base di un particolare interesse a conservare quale contraente l’originario stipulante. Più in generale, ove sia escluso ogni interesse del venditore a contestare l’impugnativa del negozio, non è indispensabile, ai fini della declaratoria della simulazione, la sua presenza in giudizio, essendo al riguardo interessati solo il compratore apparente e colui che vanti il diritto in base al contratto simulato. Perché l’accertamento dell’interposizione fittizia nei confronti del venditore determini l’esigenza del litisconsorzio necessario occorre che venga dedotto ed allegato il suo interesse, ovvero la sua consapevolezza e volontà di aderire all’accordo simulatorio. In questa prospettiva, il rilievo dell’interesse concreto ad agire o a contraddire del venditore costituisce una questione rilevabile d’ufficio come tutte le questioni relative alla legittimazione ad agire. L’individuazione di questo interesse deriva, tuttavia, dalle deduzioni ed allegazioni delle parti sulla natura, il contenuto e l’efficacia dell’accordo simulatorio. Se nessun indizio viene fornito al riguardo, ma anzi sia allegata l’integrale esecuzione del negozio traslativo dalla parte dell’alienante, la necessità del litisconsorzio deve escludersi.
Nel caso che ci occupa, in cui il prezzo di vendita è stato integralmente corrisposto al venditore – e la circostanza è pacifica tra le parti (oltre a non essere stata oggetto di contestazione specifica) – può quindi affermarsi l’insussistenza del litisconsorzio necessario e, comunque, la totale mancanza di interesse di Mevio a prendere parte all’odierno giudizio.
Nel merito
Fermo quanto sopra esposto, si ribadisce che le pretese di parte attrice sono infondate, oltre che sfornite di prova, e come tali devono essere rigettate.
Al fine di comprendere le ragioni sottese a tale affermazione occorre una preliminare disamina del principio di apparenza in relazione all’istituto della simulazione, con particolare riguardo all’interposizione fittizia di persona.
Si definisce “apparenza” una situazione di fatto non corrispondente allo stato di diritto che, in presenza di determinate circostanze, produce i medesimi effetti giuridici di quest’ultimo. La prevalenza della situazione apparente rispetto a quella reale si giustifica con la necessità, a determinate condizioni, di proteggere chi confida in una situazione giuridica non veritiera. In tale ottica, il principio di apparenza rappresenta un corollario del principio di affidamento, posto a presidio della sicurezza e della celerità dei traffici giuridici. Si definisce “apparenza pura” una discrasia incolpevole tra situazione reale e situazione apparente, nella quale il legislatore privilegia la situazione apparente, facendone derivare i corrispondenti effetti giuridici ove questa, per circostanze obbiettive, abbia ingenerato nei terzi un incolpevole affidamento circa la sua veridicità. In tal caso, subiscono gli effetti dell’operazione, pur senza colpa, anche gli originari titolari del rapporto reale.
Nei casi in cui il titolare del diritto si sia reso colposamente autore dell’apparenza si ricade invece nell’apparenza colposa (o dolosa), con applicazione del principio di autoresponsabilità, in base al quale il soggetto che crea o concorre a produrre l’apparenza di una situazione di diritto o di fatto è responsabile delle conseguenze derivanti in capo ai terzi, nei quali abbia ingenerato un ragionevole affidamento. L’apparenza è integrata da tre elementi: una situazione manifestante, una situazione manifestata e l’errore scusabile del terzo. La situazione manifestante è la situazione di fatto che porta il terzo a rappresentarsi l’esistenza di una realtà giuridica diversa da quella esistente. La situazione manifestata, invece, è la situazione giuridica, di norma la titolarità di un diritto, che il terzo è indotto a desumere dall’insieme degli elementi di fatto (situazione manifestante). La situazione manifestata, dunque, è una situazione giuridica che, pur apparendo reale, non lo è. Il terzo elemento costitutivo dell’apparenza ha invece carattere soggettivo e consiste nell’errore scusabile del terzo che, per esempio, abbia trattato con il soggetto solo apparentemente legittimato. La presenza dell’errore oggettivamente scusabile del terzo è elemento necessario per integrare la fattispecie dell’apparenza, ed è anche la giustificazione stessa dell’istituto: nel conflitto che si istituisce fra l’interesse del legittimato reale (che può essere preservato solo attraverso l’inefficacia dell’atto o del negozio) e l’interesse del terzo (che al contrario non può trovare soddisfacimento se non attraverso l’efficacia dell’atto o del negozio) la legge dà la prevalenza a quest’ultimo, in considerazione del fatto che il terzo, a causa dell’apparenza, è caduto in un errore oggettivamente scusabile.
Tra le ipotesi di apparenza legislativamente previste rientra la simulazione: il codice civile del 1942 – differentemente da quello precedente del 1865 – non fornisce una definizione dell’istituto, limitandosi a disciplinarne gli effetti nei rapporti tra le parti e rispetto ai terzi e a porre le relative regole probatorie, nelle norme di cui agli artt. 1414 e seguenti. Tuttavia, facendo capo all’elaborazione dottrinale, esso può descriversi come un fenomeno di apparenza contrattuale in cui le parti fingono la stipula di un contratto con l’intesa reciproca (c.d. accordo simulatorio) che nessun contratto è in realtà concluso, ovvero che il rapporto giuridico nascente dal contratto sia diverso: nel primo caso si tratta di simulazione assoluta, mentre nel secondo di simulazione relativa.
Con riguardo a quest’ultima, si distingue tra simulazione oggettiva e soggettiva. In particolare, si ha simulazione relativa oggettiva quando le parti concludono un negozio con l’intesa che lo stesso produca gli effetti propri di un negozio diverso (c.d. contratto dissimulato). Si ha invece simulazione relativa soggettiva quando l’apparenza involge il profilo soggettivo del contratto, per cui la parte sostanziale dello stesso, ossia la parte che ne subisce gli effetti, è diversa da quella che formalmente appare. La simulazione relativa soggettiva determina il prodursi del fenomeno di cosiddetta interposizione fittizia di persona, che si verifica quando la persona interposta non è la reale destinataria degli effetti del contratto, solo apparentemente figurandone come parte. L’interposizione fittizia deve essere tenuta distinta dall’interposizione reale, che incrocia l’istituto della rappresentanza: in quest’ultima ipotesi, l’interposto acquista realmente i diritti dal contratto, ma è tenuto a ritrasferirli ad un terzo interponente rappresentato. Ulteriormente, l’interposizione fittizia non deve essere confusa con la stipulazione sotto falso nome, la quale non crea sdoppiamento tra parte effettiva e parte apparente, ma vede solamente l’utilizzo di una falsa denominazione della parte.
Nella simulazione soggettiva, che concerne i soggetti del contratto, le parti del negozio effettivo sono diverse da quelle che vengono fatte apparire. La fattispecie presuppone l’esistenza di un accordo a struttura trilaterale – chiamato accordo simulatorio – tra la parte interposta, ovvero quella che fittiziamente si manifesta come parte negoziale, l’interponente, ovvero il contraente effettivo che si vuol celare ed il terzo contraente.
Passando ad analizzare quale sia la prova da fornire per l’accertamento della simulazione, innanzitutto si rileva che questa è differente a seconda che ad agire sia una delle parti del contratto o un terzo: mentre le parti che intendono far valere la simulazione sono limitate, nel senso che non possono ricorrere alla prova testimoniale né a presunzioni, a queste ultime può invece far riferimento il soggetto terzo.
Nel caso che ci occupa occorre quindi comprendere se Tizio, che agisce in qualità di erede del padre Sempronio, sia da considerare quale parte oppure come terzo. A tal proposito, occorre analizzare il contenuto dell’atto di citazione. Tizio, agendo in qualità di erede del padre Sempronio -al fine di ottenere il recupero del bene oggetto dell’atto asseritamente simulato – è subentrato nella posizione giuridica del de cuius e, conseguentemente egli è parte e non terzo, ai fini della prova della simulazione. Ciò è stato chiarito dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2018, n. 21494) – in cui si precisa che l’attore avrebbe potuto essere considerato terzo solo se avesse agito in qualità di legittimario per chiedere la reintegrazione della quota di legittima dell’asse ereditario.
Alle considerazioni di cui sopra – ovvero che Tizio è assoggettato ai limiti probatori di cui all’art. 1417 c.c. – si aggiunga che, nel caso di simulazione relativa avente ad oggetto un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam (come nel caso di specie, in cui si discute di una compravendita immobiliare) la prova dell’accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve essere data, ai sensi dell’articolo 2725 cc, al quale implicitamente rinvia l’art. 1417 c.c., con atto in forma scritta, ovvero con documento contenente la controdichiarazione sottoscritta dalle parti. Pertanto, nell’ipotesi di compravendita immobiliare simulata per interposizione fittizia dell’acquirente, il compratore effettivo, quale parte dell’accordo simulatorio e del contratto dissimulato, deve provare per iscritto l’accordo simulatorio; questo è l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Cass. civ. ord. 20857/2014, Cass. civ. n. 18204/2017).
Nel caso che ci occupa, Tizio non ha offerto la prova scritta dell’accordo simulatorio e pertanto le sue pretese non potranno essere accolte.
Premesso quanto sopra, Caio – come in atti rappresentato difeso e domiciliato – si riporta alle difese svolte (in atti e a verbale) e confida nel rigetto delle pretese di controparte, richiamando le conclusioni come precisate all’udienza del 20/10/2019.
Luogo _________, 12/12/2019
Avv. __________
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